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In morte di Lara
Sunday, September 23rd 2007, 11:54 AM 2113 2
Si dice che ogni giorno si muore un poco. Una parte di me è morta insieme a te, Lara.
Anche se non abbaiavi mai, ti muovevi raramente, stavi quasi sempre ferma sul tuo cuscinone, la casa sembra vuota adesso che non ci sei più.
Sei entrata nelle nostre vite non tanto tempo fa. Sei rimasta per 13 lunghissimi anni rinchiusa in canile, senza possibilità, senza un'opportunità. Io, le mie opportunità, nello stesso tempo le sprecavo rincorrendo un'idea sbagliata di felicità, sorretta dalla certezza superficiale tipica dei giovani di avere il mondo in mano, di avere già compreso tutto, arrogandomi il diritto di deridere e di compatire tutta quella parte di mondo diversa da me.
Tu vivevi la tua vita parallela, mentre io non sapevo nulla di te. Certamente tu non potevi uscire da lì, io avrei dovuto venire da te, entrare in uno di quei carceri chiamati canili, prendere coscienza di questo pezzo di mondo disumano che condanna esseri innocenti a vivere in gabbia, sin da quando nascono.
Se gli orfanotrofi fossero fatti di gabbie forse qualcuno si ribellerebbe, griderebbe allo scandalo, ma per gli animali no, non si muove nessuno.
Ci siamo incontrate tardi, Lara.
Tardi per te, che avresti potuto trascorrere qualche anno in più senza soffrire così tanto, godendo dell'amore di una famiglia, con la comodità di una bella cuccia morbida e di una casa riscaldata durante l'inverno.
Tardi anche per me, che avrei forse potuto, anche per mezzo del tuo aiuto, maturare prima, comprendere quell'abisso di sofferenza che è la vita, e smettere di correre dietro ad illusioni inutili, sogni vani come palloncini colorati che stanno per scoppiare. Accudirti, curarti, osservarti mi avrebbe forse fatta diventare migliore.
Però, ad un certo punto, tu sei arrivata, alla fine.
Conservo tanti ricordi, Lara, insieme a te, in parte buffi, in parte tristi.
Come quella volta in montagna: riposavamo sul prato lungo il corso del fiume, le portiere dell'auto lì accanto erano rimaste aperte, ad un certo punto tu sei sparita. Io ti cercavo preoccupata, mi chiedevo dove potessi essere finita, e finalmente ti ho trovata, ti eri messa seduta al posto di guida dove, chissà come, eri riuscita a salire, nonostante le tue zampe malconce.
Eri tanto buffa, Lara, in versione Schumaker!!!
Oppure quella mattina a casa, di ritorno dalla passeggiata quando, ansimante e stanca, ti sei bloccata ai piedi della rampa d'ingresso, giù nell'atrio. In quel momento doveva sembrarti un ostacolo insormontabile. Lea, tua sorella, aveva già fatto i gradini di corsa, 4 a 4, ma vedendoti in difficoltà è ridiscesa, si è messa al tuo fianco e piano piano, passettino dopo passettino, infondendoti coraggio, siete salite insieme, l'una accanto all'altra.
Mi sarei messa a piangere per la commozione. Come eravate belle, figlie mie!
Ricordo quando rientravamo a casa dal giretto quotidiano, nei giorni di pioggia. Io ti asciugavo sempre con gesti veloci ed anche un po' concitati, per la preoccupazione di farti assorbire troppa umidità, tu, già così malmessa. Con grandi teli di spugna ti avvolgevo tutta per benino, ti passavo l'asciugamano sotto il pancione, ti sollevavo le zampotte che tu mi porgevi docile, ti strofinavo ben bene il pelo lungo la tua povera schiena deforme; a volte usavo il phon, del quale le prime volte avevi paura, ma che poi hai imparato ad apprezzare, per quel bel teporino che ti regalava. Eri contenta di sentirti bella asciutta, al calduccio e spesso, alla fine dell'operazione asciugatura, mi davi tanti bacini di gratitudine. Tu, un cane di 13 anni, dolce e grato come un cucciolotto verso la sua mamma......
Il tuo corpo, Lara, era la materializzazione del dolore fisico. Hai portato ogni giorno la tua croce, come noi umani portiamo la nostra, come milioni di esseri fanno quotidianamente. La differenza è che gli animali sanno sopportare in silenzio, si ritirano nel buio in un angolo; noi strepitiamo, urliamo, ci dibattiamo, incapaci come siamo di soffrire con dignità.
Quando scendevamo giù usavamo sempre il montacarichi, giacchè l'ascensore ci era stato proibito dal condominio. A causa dello spazio limitato stavamo strette l'una accanto all'altra e tu spesso appoggiavi il tuo piedone posteriore destro sul collo del mio piede. Era una carezza, Lara, non sentivo minimamente il peso del tuo corpo stanco e vecchio. Cercavo di non muovere un muscolo, per timore che tu ti spostassi, mi piaceva tanto questo piccolo contatto immotivato, mi pareva di farti da cuscino e potevo attutire per te la durezza del pavimento di ferro.
Devi essere stata bella un giorno, tanto tempo fa. Anche se guardandoti sembrava impossibile immaginarti così, perfino tu, dolce creatura, devi avere avuto un'infanzia, un'amorevole mamma che ti ha allattato, eri sicuramente una cucciola buona e timida, che sapeva aspettare il suo turno, senza usare prepotenza sugli altri fratellini.
Poi sei diventata una giovane femmina, forse ancora integra, chissà, forse amavi correre, forse quando uscivi dalla gabbia per lo sgambamento ti lasciavi andare a corse pazze nel piazzale del canile.... Sai, non so immaginarti in questo modo, nè riesco a vederti mentalmente con entrambe le orecchie, per me resti sempre la lupona con un orecchio solo. Resti la vecchia cagnona sofferente, con gli occhi dolcissimi portatori di un'infinita saggezza, frutto della vita da galera che il destino ti ha riservato, della solitudine della gabbia che ti ha provata e segnata per sempre.
Amavo dire, guardando dall'alto il profilo della tua schiena magra e scarna, che eri "lunga come un vagone ferroviario". Eppure, Lara, al di là della tua mole, che la vecchiaia aveva rimpicciolito, come succede a noi uomini, che da vecchi diventiamo curvi, fragili, quasi trasparenti, sei stata una delle creature più dolci che io abbia incontrato.
La dolcezza non fa più parte del genere umano.
Si dice che quando gli animali ci lasciano vanno sul "ponte dell'arcobaleno", una sorta di paradiso degli animali, dove quelli che in vita sono stati rinchiusi, malati deformi, anziani ritrovano grandi spazi per correre a perdifiato, lo splendore della giovinezza, il vigore della salute.
Non credo al ponte dell'arcobaleno, come non credo al paradiso.
Credo che animali ed uomini si giochino la loro partita in questa sporca vita, in questo schifoso e marcio mondo.
Sopravvive però il ricordo, di loro e di noi, e di questo resta la traccia, come una specie di scia fosforescente che illumina l'impronta che si lascia nel mondo, nell'amico, nel nostro prossimo, nel collega, nel vicino di casa. L'immagine di un sorriso, non di un ghigno beffardo e nervoso, l'icona di un gesto generoso, non di un taccagno, la visione di un passato condiviso, non di una solitudine sdegnosa ed arrogante.
L'ultimo giorno i tuoi occhi stanchi mi guardavano tranquilli, con fiducia. La fiducia di sempre, quella che mi hai concessa da quando imparasti a fidarti di me, di noi, della tua famiglia. Quella fiducia che da allora non ci hai mai più tolta, per la tua naturale bontà, il tuo essere mite, il tuo disperato bisogno di coccole, affetto, calore.
Avresti seguito chiunque ti avesse fatto una carezza, Lara; e noi ti abbiamo dato una casa.
Non mi sono mai pentita, nemmeno per un attimo, di averlo fatto, neanche nei momenti più duri. E ce ne sono stati tanti, Lara, tu lo sai. Penso di essermi fatta più pianti per te che per tutti i miei amori falliti messi insieme, ho consumato scaffali da supermercato di fazzoletti di carta, temendo che ogni tua crisi fosse quella fatale, quella definitiva. Ti sei ripresa mille volte, e mille volte di nuovo sei stata male.
Poi è arrivato l'ultimo giorno. Chissà se avevi capito, Lara, non lo so. So solo che fino alla fine il tuo sguardo è rimasto con me, il tuo musone magro e dolce proteso verso le mie mani, mentre con le braccia cercavo di tenerti, di abbracciarti, di darti conforto.
E tu, con una specie di antica saggezza che chissà come è venuta a far parte di te, hai aspettato la fine calma, tranquilla, coraggiosa, senza un lamento, senza un gemito.
Mi guardavi e silenziosamente mi dicevi addio.
Anche in quel momento mi hai insegnato qualcosa.
Mi hai insegnato come si fa a morire.
Ora sono sdraiata sul tuo cuscinone, che è ancora lì, al suo posto. Sto guardando la casa da quella che era la tua prospettiva. Le lacrime mi rotolano giù dagli occhi, il mio pianto bagna l'impronta che tu hai lasciato, lieve come una carezza.
Ti voglio bene, Lara. Te ne vorrò sempre.
Riposa in pace, dolce lupona mia.
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